sabato 5 maggio 2018

Mina!!!!


Proseguiamo l’esplorazione sino a quando vediamo quella che sembra la sagoma di un carro armato coperta da un telo. Ci avviamo decisi in quella direzione, fintanto che un “clilc” seguito da “Cazzo ho messo un piede su una mina” ci ferma. Ad essere bloccato è proprio il nostro Comandante. Segue una disquisizione: meglio saltare via, sperando di rimetterci una parte limitata del corpo, o meglio provare a disinnescare? Io sorveglio il corridoio a cinquanta metri dalla mina per essere sicuro che non arrivi nessuno, mentre (???) disinnesca la mina. Non solo siamo salvi, ma abbiamo ora il fondato sospetto che sotto quel telo, così ben difeso, si nasconda qualcosa di importante: prestando attenzione alle mine (abbastanza riconoscibili, ora che sappiamo che ci sono, sul pavimento della fabbrica), ci avviciniamo alla sagoma, togliamo i teli e...ecco un prototipo già pronto all’uso del carro armato di cui abbiamo visto i progetti!
Dobbiamo assolutamente portarlo a Stalin, così recuperiamo parte della benzina dal serbatoio del T34 e, soddisfatti dell’esplorazione, ci riavviamo al campo base coi due mezzi.
Le fabbriche sono in buono stato, abbiamo un nuovo carro armato e molti proiettili: un bel successo, anche se per le vie di Odessa siamo inseguiti da un nugolo di morti, che però in parte schiacciamo coi cingoli, in parte vengono sbaragliati una volta giunti in prossimità del campo base. Qui facciamo rapporto.
Purtroppo, una esplosione in un altro quartiere lascia pensare che un’altra squadra abbia avuto meno fortuna di noi: dopo un breve riposo, anche se feriti, dovremo essere di nuovo operativi, perché gli effettivi sono pochi, sempre meno, ma c’è da preparare il terreno per l’arrivo del grosso dell’Armata.
All’imbrunire, in lontananza, vediamo due figure, sembrano uomini a cavallo. Forse Cosacchi. Forse morti.
Se i morti ragionano (e dalle nostre ultime esperienze sembra che alcuni lo facciano) e se odiano ancora noi che li abbiamo uccisi una prima volta, si prospettano tempi duri.

lunedì 30 aprile 2018

La fabbrica di carri armati


Non appena facciamo atto di avviarci verso il padiglione centrale, però, veniamo sorpresi da alcuni colpi di fucile, sparati dall’interno. Subito capisco che i nostri aggressori non possono essere molti, così decido di lanciarmi all’assalto, certo di ispirare proletario ardore nei petti dei miei compagni.
Devo ammettere che, in altre occasioni, il lanciarmi all’assalto mi è riuscito meglio. Alcuni proiettili mi sibilano vicinissimi, con un balzo entro nell’edificio attraverso una finestra, inciampo, mi pianto una barra di ferro, sporgente da un muro crollato, in una coscia.
Lo scopo, però, è raggiunto: sento la reazione dei miei, sento i nemici (volgari ribelli) urlare e cadere, vedo infine i compagni venire ad aiutarmi. Per strapparmi il ferro dalla gamba devono tirare in due, ma alla fine sono libero, benché zoppicante.

Ci addentriamo quindi nei meandri della grande fabbrica. Nella prima stanza, quella dell’assemblaggio finale, troviamo dei proiettili, negli uffici dei documenti inutili e dei progetti per quello che sembra un nuovo carro. Stiamo per inoltrarci nella stanza del montaggio, quando sentiamo un rumore minaccioso, poi ecco comparire un cosacco (morto) su un cavallo (morto pure lui) lanciato al galoppo! Il primo pensiero è: “Dunque anche gli animali tornano in vita?”. Il secondo: “E ora come mi salvo?”.
Fortunatamente, il nostro nemico pare puntare diritto sul Capitano. Ancor più fortunatamente, prima che possa essergli addosso il nostro tiratore scelto prende la mira con un fucile anticarro e centra in pieno il cosacco, che rimuore sul colpo. Meno fortunatamente, il rinculo dell’arma fa cadere il tiratore scelto dal mucchio di ciarpame sul quale si era appostato: rotolando giù, si procura tutte le ferite che avremmo probabilmente riportato nello scontro.
Mi avvicino al due volte cadavere: proprio nel centro della fronte ha un buco da proiettile. Guardo il nostro Capitano: probabilmente, si era trattata di una esecuzione, peraltro giustissima dato che questi maledetti Cosacchi osano non solo criticare, ma perfino ribellarsi al nostro glorioso Stalin.

venerdì 27 aprile 2018

Odessa


Giunti ad Odessa, non per primi ma con preziose informazioni, la colonna dei compagni soldati sopravvissuti alle eroiche imprese in favore del proletariato ci viene sottratta (forse perché qualcuno possa sperare di rivedere la famiglia?), ma non per questo cessa la nostra utilità alla Causa: al nostro nucleo di ufficiali vengono subito assegnate missioni di primaria importanza.
Come sosteneva Marx, ciò che più conta è l’economia, la struttura, l’industria: siamo perciò inviati dal Comandante ad ispezionare le fabbriche site presso il porto, per verificarne la condizione e la possibile rimessa in opera o, quanto meno, per razziare tutto quanto possa essere utile alla causa.

Col nostro carro armato T34 e la compagnia delle tre avvenenti naziste, ora apparentemente fedeli a noi, ci dirigiamo alla volta della fabbrica. Proprio non capisco perché il nostro Maggiore abbia insistito per averle con noi, e per di più libere e armate. Forse perché, come sosteneva Marx dopo la terza birra, in realtà, prima ancora della struttura economica in ambito dialettico dello scontro fra proletariato e borghesia, viene la figa.
Sia come sia, quando entriamo nella fabbrica di armamenti che abbiamo avuto l’incarico di ispezionare, rimaniamo colpiti dalle buone condizioni generali: in piedi i capannoni, curato perfino l’edificio dedicato al culto di Stalin e del Comunismo, nonostante un paio di svastiche risalenti all’occupazione nazista non siano state ripulite. Mentre devotamente visito questo luogo, che pare avere avuto cure se non recenti, almeno non remote, i miei compagni chiudono l’ingresso al piazzale della fabbrica, non più protetto dal portone divelto, con del fino spinato. Per il resto, bastano le mura della fabbrica a difenderci.