venerdì 27 aprile 2018

Odessa


Giunti ad Odessa, non per primi ma con preziose informazioni, la colonna dei compagni soldati sopravvissuti alle eroiche imprese in favore del proletariato ci viene sottratta (forse perché qualcuno possa sperare di rivedere la famiglia?), ma non per questo cessa la nostra utilità alla Causa: al nostro nucleo di ufficiali vengono subito assegnate missioni di primaria importanza.
Come sosteneva Marx, ciò che più conta è l’economia, la struttura, l’industria: siamo perciò inviati dal Comandante ad ispezionare le fabbriche site presso il porto, per verificarne la condizione e la possibile rimessa in opera o, quanto meno, per razziare tutto quanto possa essere utile alla causa.

Col nostro carro armato T34 e la compagnia delle tre avvenenti naziste, ora apparentemente fedeli a noi, ci dirigiamo alla volta della fabbrica. Proprio non capisco perché il nostro Maggiore abbia insistito per averle con noi, e per di più libere e armate. Forse perché, come sosteneva Marx dopo la terza birra, in realtà, prima ancora della struttura economica in ambito dialettico dello scontro fra proletariato e borghesia, viene la figa.
Sia come sia, quando entriamo nella fabbrica di armamenti che abbiamo avuto l’incarico di ispezionare, rimaniamo colpiti dalle buone condizioni generali: in piedi i capannoni, curato perfino l’edificio dedicato al culto di Stalin e del Comunismo, nonostante un paio di svastiche risalenti all’occupazione nazista non siano state ripulite. Mentre devotamente visito questo luogo, che pare avere avuto cure se non recenti, almeno non remote, i miei compagni chiudono l’ingresso al piazzale della fabbrica, non più protetto dal portone divelto, con del fino spinato. Per il resto, bastano le mura della fabbrica a difenderci.

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