Giunti ad Odessa, non per primi ma con
preziose informazioni, la colonna dei compagni soldati sopravvissuti
alle eroiche imprese in favore del proletariato ci viene sottratta
(forse perché qualcuno possa sperare di rivedere la famiglia?), ma
non per questo cessa la nostra utilità alla Causa: al nostro nucleo
di ufficiali vengono subito assegnate missioni di primaria
importanza.
Come sosteneva Marx, ciò che più
conta è l’economia, la struttura, l’industria: siamo perciò
inviati dal Comandante ad ispezionare le fabbriche site presso il
porto, per verificarne la condizione e la possibile rimessa in opera
o, quanto meno, per razziare tutto quanto possa essere utile alla
causa.
Col nostro carro armato T34 e la
compagnia delle tre avvenenti naziste, ora apparentemente fedeli a
noi, ci dirigiamo alla volta della fabbrica. Proprio non capisco
perché il nostro Maggiore abbia insistito per averle con noi, e per
di più libere e armate. Forse perché, come sosteneva Marx dopo la
terza birra, in realtà, prima ancora della struttura economica in
ambito dialettico dello scontro fra proletariato e borghesia, viene
la figa.
Sia come sia, quando entriamo nella
fabbrica di armamenti che abbiamo avuto l’incarico di ispezionare,
rimaniamo colpiti dalle buone condizioni generali: in piedi i
capannoni, curato perfino l’edificio dedicato al culto di Stalin e
del Comunismo, nonostante un paio di svastiche risalenti
all’occupazione nazista non siano state ripulite. Mentre
devotamente visito questo luogo, che pare avere avuto cure se non
recenti, almeno non remote, i miei compagni chiudono l’ingresso al
piazzale della fabbrica, non più protetto dal portone divelto, con
del fino spinato. Per il resto, bastano le mura della fabbrica a
difenderci.
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