Proseguiamo l’esplorazione sino a
quando vediamo quella che sembra la sagoma di un carro armato coperta
da un telo. Ci avviamo decisi in quella direzione, fintanto che un
“clilc” seguito da “Cazzo ho messo un piede su una mina” ci
ferma. Ad essere bloccato è proprio il nostro Comandante. Segue una
disquisizione: meglio saltare via, sperando di rimetterci una parte
limitata del corpo, o meglio provare a disinnescare? Io sorveglio il
corridoio a cinquanta metri dalla mina per essere sicuro che non
arrivi nessuno, mentre (???) disinnesca la mina. Non solo siamo
salvi, ma abbiamo ora il fondato sospetto che sotto quel telo, così
ben difeso, si nasconda qualcosa di importante: prestando attenzione
alle mine (abbastanza riconoscibili, ora che sappiamo che ci sono,
sul pavimento della fabbrica), ci avviciniamo alla sagoma, togliamo i
teli e...ecco un prototipo già pronto all’uso del carro armato di
cui abbiamo visto i progetti!
Dobbiamo assolutamente portarlo a
Stalin, così recuperiamo parte della benzina dal serbatoio del T34
e, soddisfatti dell’esplorazione, ci riavviamo al campo base coi
due mezzi.
Le fabbriche sono in buono stato,
abbiamo un nuovo carro armato e molti proiettili: un bel successo,
anche se per le vie di Odessa siamo inseguiti da un nugolo di morti,
che però in parte schiacciamo coi cingoli, in parte vengono
sbaragliati una volta giunti in prossimità del campo base. Qui
facciamo rapporto.
Purtroppo, una esplosione in un altro
quartiere lascia pensare che un’altra squadra abbia avuto meno
fortuna di noi: dopo un breve riposo, anche se feriti, dovremo essere
di nuovo operativi, perché gli effettivi sono pochi, sempre meno, ma
c’è da preparare il terreno per l’arrivo del grosso dell’Armata.
All’imbrunire, in lontananza, vediamo
due figure, sembrano uomini a cavallo. Forse Cosacchi. Forse morti.
Se i morti ragionano (e dalle nostre
ultime esperienze sembra che alcuni lo facciano) e se odiano ancora
noi che li abbiamo uccisi una prima volta, si prospettano tempi duri.